LA VERITÀ DELLE VITTIME DEL CONFLITTO COLOMBIANO: INTERVISTA A JORGE JIMENEZ CASTRO

(A cura di: Rebecca Batistoni, Mariem Kilani, Laura Landi, Matilde Nolesini, Iseth Tiburcia)[i]

La Comisión de la Verdad è un organismo che opera per ricostruire un contesto di pace in Colombia, paese martoriato da un conflitto iniziato negli anni Sessanta che potrebbe giungere a una svolta decisiva. Ne parliamo con Jorge Jiménez Castro, studente del corso di laurea magistrale in Scienze politiche dell’IU Sophia e di Filosofia all’UNIPG, volontario del Nodo Solidale di Firenze e ospite del Centro Internazionale Studenti La Pira di Firenze.

Jorge, la Comisión deve il suo funzionamento all’operato di numerosi volontari sparsi in diverse zone del mondo. Quale attività svolge?

Il Sistema integral de verdad, justicia, reparacion, y no repeticion, frutto degli accordi di pace del 24 novembre 2016 firmati a L’Havana dal governo colombiano e dalle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionaria de Colombia), ha portato alla nascita della Comisión de Verdad, organismo a carattere extragiudiziale che scadrà nel 2021. Ha lo scopo di garantire alle vittime il diritto alla verità. La verità e il rispetto sono necessari se vogliamo sperare in una convivenza pacifica.

Da quando fai parte della Comisión?

Ho conosciuto da poco l’attività della Comisión. Il processo con vari Nodi di riferimento in Europa è iniziato solo ad ottobre scorso, quando si è posto attenzione agli esiliati colombiani all’estero. Già da tempo ero impegnato e appassionato a questi temi, perciò ho pensato che il mio contributo all’interno del lavoro della Comisión potesse essere utile. In Colombia, mentre mi formavo nell’ascolto terapeutico in una scuola di psicologia transpersonale, ho studiato pedagogia della costruzione di pace e ho lavorato con il Ministero dell’Istruzione in questo ambito.

L’opera di volontari come te è rivolto anzitutto alla ricerca della verità per le vittime. Tu parli di esilio invisibile. Cosa intendi  con questa espressione?

E’ utile ricordare la storia della mia famiglia. I miei nonni avevano un’azienda in campagna che hanno dovuto abbandonare, a causa del conflitto armato. Hanno vissuto il dramma dei desplazados, vittime dello sfollamento forzato. E’ un fenomeno che coinvolge famiglie intere. In città, erano guardati con diffidenza. La gente non li riconosceva come vittime di un conflitto ignorato nelle aree urbane, che dilagava nelle zone rurali del paese. Il fenomeno di non riconoscimento delle vittime e del loro vissuto tocca anche l’esilio dei colombiani all’estero, perché viene reso invisibile, considerato migrazione economica. Inoltre i colombiani che hanno scelto la via dell’esilio volontario all’estero, continuano a vivere una condizione di profonda sofferenza causata dal silenzio dei connazionali intorno alle violenze subite, e dell’impunità che questo silenzio comporta.

Qual è la situazione della comunità colombiana in Italia e quali sfide hai di fronte come giovane studente internazionale?

Varie associazioni cercano di favorire il contatto tra i colombiani in Italia. Ma colombiani tendono a mimetizzarsi e a non parlare delle terribili esperienze vissute in patria; non vogliono riviverle. Ciò rende difficile incontrare chi voglia testimoniare come vittima del conflitto. In Italia, pochi si riconoscono tali. Firenze e il Centro La Pira ormai per me sono come casa mia, ma non nascondo che anch’io inizialmente ho incontrato alcune difficoltà a stringere amicizia con italiani e a sopportare alcuni commenti discriminatori che mi sono stati rivolti in quanto straniero e immigrato. Come tanti altri giovani colombiani, mi sento ancora molto coinvolto nelle vicende del mio paese perché il conflitto dura ancora e il dramma attraversa le generazioni.

Nel 2021 si esaurirà l’operato della Comisión. Quale futuro immagini per il tuo Paese e quali sono i tuoi sogni?

La crisi dovuta all’emergenza sanitaria ha colpito duramente la Colombia, già stremata da anni da conflitti interni e alle prese con una povertà molto diffusa. Prima del Covid19 ero più fiducioso, adesso sono più preoccupato riguardo il futuro del mio paese. Quando la Colombia uscirà da mesi di lockdown sarà difficile far ripartire il Paese e colmare le profonde differenze economiche e sociali che ci sono tra i suoi abitanti. Sarà una vera sfida continuare con le attività delle istituzioni del Sistema integral de verdad, justicia, reparacion, y no repeticion. In questi mesi il lavoro svolto è stato pesantemente svalutato dagli oppositori dell’Accordo di pace e non sono cessate le uccisioni di leader sociali nelle comunità che sono state vittime del conflitto. Voglio continuare nel mio impegno per favorire la riconciliazione e la costruzione di un contesto di pace. I miei studi sono orientati a questo.  In quante parti del mondo sono presenti o si sono consumati violenti conflitti etnici o sociali. Occorre molto lavorare sulla resilienza e sul potenziamento delle vittime di conflitti, come risorsa per rendere il mondo sempre più unito e solidale. Sogno che in Colombia ci sia un cambiamento di cultura radicale, che consenta alle vittime di essere riconosciute, perché possano esternare il proprio dolore, magari attraverso l’arte e la cultura. E perché liberate da un peso tremendo, possano esprimersi attraverso un processo di partecipazione democratica del nostro futuro.

 

[i] Giovani in servizio civile regionale presso il Centro Internazionale Studenti G. La Pira di Firenze

Un racconto con il cuore in mano: la mia esperienza di vita, di studio e di rapporto con il Centro La Pira

di Vladimir Aparicio

Vengo dalla Colombia un paese che per molti anni ha sofferto la guerra civile prodotta dai cartelli della droga e posteriormente delle guerriglie che insanguinavano intere popolazioni e hanno fatto della Colombia il paese con il numero di persone sfollate del mondo più alto, più di 8 milioni.
Questa situazione in particolare mi ha fatto riflettere su come potevo agire in questo problema concreto. Prima di venire in Italia facevo l’insegnante di letteratura e di spagnolo per stranieri all’università, potevo vivere tranquillamente e senza grossi mancanze. Mi sono sempre mostrato sensibile alle sofferenze dell’altro ma non avevo le risorse che mi permettessero di creare un cambio reale politico e sociale, così ho accettato la borsa di studio in Scienze Politiche che mi ha offerto l’istituto Sophia a Loppiano.
La borsa però non includeva i costi di vitto e alloggio, dopo un anno i miei risparmi di tutta una vita di lavoro erano finiti. Non sapevo dove andare e come fare per finire gli studi.
Il Centro La Pira, che conoscevo dal 2006 quando ho frequentato un corso di italiano, è stata la mia salvezza. Mi sono messo in contatto con il gruppo del sociale e subito loro mi hanno detto che si stavano riaprendo le residenze per studenti e sarebbero stati contenti di darmi una mano.
Con la tranquillità di avere una casa, ho finito la Laurea Magistrale in Scienze Politiche a Sophia e posteriormente cominciato studi in Governo e Relazioni Internazionali alla LUMSA di Roma.
Al termine di questa esperienza posso dire di essere profondamente cambiato avendo assimilato un bagaglio di esperienze, di confronto, di impegno che mi hanno arricchito e che hanno contribuito alla trasformazione della mia identità.
Ciascun immigrato è naturalmente portato a cambiare la propria cultura e la propria identità per effetto dell’integrazione in un nuovo Paese; per me ciò è stato ancor più significativo in quanto il Centro mi ha offerto un ambiente protetto e nello stesso tempo stimolante. Soprattutto mi ha dato la possibilità di vivere questo cambiamento di integrazione insieme a tanti altri studenti di nazionalità diverse.
Senza intenzione di rinnegare le mie origini colombiane, che restano salde nel mio animo e nel mio cuore, mi sento inserito e partecipe anche della società italiana.
L’esperienza del Centro la Pira è stata ricca di momenti piacevoli che la convivenza con gli altri studenti ha favorito. A partire dalla condivisione delle piccole cose quotidiane come per esempio la condivisione del cibo e della stanza con un ragazzo musulmano. Si è trattato sempre di un confronto e mai di uno scontro anche quando si trattava di temi religiosi o ideologici. Un clima di tolleranza e di accettazione dell’altro che mi ha portato scherzosamente a chiamare il mio compagno di stanza con l’appellativo “fratello musulmano” e ad essere da lui ricambiato con quello di “fratello cristiano”.
Di certo, come tutte le convivenze, non sono mancate le difficoltà specie nei rapporti con le persone che hanno vissuto il Centro come un luogo di momentaneo passaggio e con scarso spirito di appartenenza.
Atteggiamenti che hanno portato alcuni a sottovalutare le regole comuni quali la pulizia, il rispetto del silenzio, il riordino dei locali. Ho assolto all’incarico che mi è stato attribuito di referente tra il centro e la casa studenti cercando in questi casi di richiamare, laddove ve ne fosse la necessità, al rispetto delle regole generando anche qualche fastidio e qualche reazione non sempre positiva.
Anche queste esperienze mi hanno aiutato a comprendere il significato dell’integrazione che richiede da un lato la capacità di distaccarsi dalle nostre abitudini in un continuo movimento oscillatorio tra disintegrazione e integrazione che mi ha intimamente trasformato.
A conclusione di questo mio breve messaggio sento di poter dire che il Centro La Pira, continuando nel tempo l’importante ruolo assegnato dal Suo illustre fondatore, tesse una tela di rapporti e di legami che vanno oltre la contingenza dello spazio e del tempo.
I ponti che si costruiscono nella quotidianità della vita del Centro continueranno anche all’esterno, nella vita delle persone che vi hanno soggiornato e, come un seme, germoglieranno e porteranno il loro frutto in luoghi e in Paesi diversi.
Un frutto che ha un nome unico e inestimabile: PACE che vorrei portare nel mio paese.

Intervista a Hicham Ouarraqi

a cura di Iseth Tiburcia Ndoumou Obono Mve (attualmente in Servizio Civile presso il Centro La Pira)

 

Come ti chiami e come hai lasciato il tuo Paese dal punto di vista politico e dei diritti?

Mi chiamo Hicham Ouarraqi. Sono un ragazzo marocchino che vive a Firenze da quasi due anni. Sono studente all’università degli studi di Firenze al secondo anno del Corso in Lingue e Culture Interculturali.

Quando ho preso la mia maturità nel 2011 ho proseguito i miei studi universitari in Informatica nell’università della mia città e poi ho preso due diplomi in informatica in quattro anni.

Quando sono partito dalla mia città, la situazione del mio paese non era perfetta perché il Marocco, come sapete, fa parte dei paesi del terzo mondo e quindi ancora tante cose devono essere sviluppate. Non nego che il Marocco stia facendo grandi passi avanti a livello politico e dei diritti, ma allo stesso tempo i giovani non hanno tante possibilità per costruirsi una vita autonoma e la situazione non stava migliorando quando sono partito nel 2018.

Negli ultimi anni tanti giovani hanno lasciato il paese per mancanza di lavoro, non si può infatti dire che la politica del Marocco sia a favore di noi giovani.

Perché hai deciso di venire in Italia e a Firenze e da quanto tempo ti sei trasferito?

In realtà ho sempre desiderato venire in Italia, è un paese che mi piace. Sono innamorato della cultura e della storia italiana.

Questa passione mi ha spinto a studiare la lingua italiana e questo mi ha permesso di ottenere il visto per motivi di studio per l’Italia.

Ho scelto Firenze perché è molto famosa e perché gli studi universitari che volevo seguire e che frequento adesso si trovano a Firenze; in più la storia e la cultura di Firenze sono molto belle e interessanti. Questo è il secondo anno che mi sono trasferito.

Come hai conosciuto il Centro La Pira?

Arrivato in Italia a Firenze ho conosciuto il Centro Giorgio La Pira tramite un amico e da allora me ne sono innamorato. Sono rimasto in contatto con il Centro fino ad oggi e sono in buoni rapporti con le persone che vi lavorano.

Qual è la tua esperienza al Centro La Pira, in che modo ti ha aiutato e quale beneficio hai avuto frequentando il Centro?

La mia esperienza con il Centro Internazionale Giorgio La Pira è al 100% positiva perché mi ha aiutato in diversi step della mia vita, soprattutto il primo anno che mi sono trasferito a Firenze quando non trovavo una casa/camera da affittare, perché ero appena arrivato e perché non conoscevo nessuno.

Il Centro mi ha aiutato, orientato, affiancato nel mio percorso; è un luogo che non dimenticherò mai per tutta la mia vita.

Perciò oggi posso consigliare, parlare del Centro ad altre persone perché oltre all’accoglienza, ai corsi di lingua italiana per gli stranieri ed alla fraternità che si respira, il Centro Giorgio La Pira è un luogo dove si imparano tante cose.