Ho un solo alleato, la giustizia fraterna. Conoscere La Pira per agire adesso (di Maurizio Certini)

Di Maurizio Certini

(L’articolo è stato originariamente pubblicato il 28/06/2022 sul sito di Città Nuova +)

Giorgio La Pira è stato oggetto di attacchi di ogni genere, parole aggressive, un tentativo di pestaggio da parte di neofascisti, ricorrenti polemiche contro di lui da parte di alcuni organi d’informazione.  Vide la distruzione di Hiroshima (e potenzialmente la distruzione di ogni città), come il culmine di un’epoca, lo spartiacque della storia, che prelude alla fase finale e nuova della storia, che pone l’umanità sul «crinale apocalittico»: la minaccia nucleare e la collera dei poveri da un lato, la via della pace dall’altro.
Chi era Giorgio La Pira? Un sognatore, un visionario, un poeta? Un mistico? Un uomo politico precursore del dialogo… oppure un integralista cattolico? E poi c’è un’attualità di La Pira, ci parla ancora oggi, o stiamo semplicemente facendo memoria di un personaggio del passato?

In realtà questo piccolo professore di Diritto Romano, questo padre costituente, questo sindaco spesso non compreso proprio dai suoi, da quelli della sua parte, era ascoltato da uomini di ogni orientamento politico, culturale, religioso. Da capi di stato internazionali, da leader religiosi, da ministri e da povera gente.
Al suo funerale partecipò una folla immensa. Il popolo di Firenze e personalità arrivate da tutto il mondo.
Appena 4 giorni dopo la sua morte, avvenuta il 5 novembre del 1978, Papa Paolo VI affermava: «Che differenza c’è tra lui e tanti del suo tempo e del suo mondo?
Che lui sapeva, aveva chiari davanti a sé i fini da raggiungere e per questo ha impegnato la sua vita, la sua esistenza. È vissuto povero, in mezzo a tumulti di genti, di questioni, di affari, ma sempre con l’idea, sognatore quasi, di raggiungere questo fine … che era la pace giusta e l’unità del mondo.Aveva il senso dei fini, non solo dei mezzi da percorrere, ma del dove andare. È quello che dovremmo avere ciascuno di noi, … occorre una metamorfosi di mentalità».
«Non era facile capirlo. Si poteva capire solo noi che siamo gente semplice». Queste parole così immediate e incisive furono dette durante i funerali di La Pira da un’anziana donna che frequentava ogni domenica la Messa del Povero alla Badia fiorentina. Messa che La Pira aveva promosso e dove condivideva tutti i suoi beni e aggiornava la gente semplice riguardo agli avvenimenti locali e internazionali.
Mettere al centro i poveri per La Pira significava senza dubbio sottolineare l’ingiusto squilibrio economico e sociale con la volontà di superarlo, promuovendo atti di giustizia, dando a ciascuno dignità…
A maggio del 1926, a 22 anni, questo giovane intellettuale nato a Pozzallo in Sicilia, arriva a Firenze per laurearsi seguendo il suo maestro di Istituzioni di Diritto Romano, l’insigne prof. Emilio Betti. Un anno dopo è egli stesso docente di Diritto Romano nell’Università fiorentina. Con Firenze è amore a prima vista.
E resterà fedele alla città tutta la vita, cogliendone il valore e promuovendola a città operatrice di pace.

Approda al Convento di San Marco dove incontra il pensiero di San Tommaso, la visione politica di Savonarola, fino a Jaques Maritain. E con la sua opposizione al fascismo e al nazismo, matura la sua vocazione sociale e politica, ma anche la sua dimensione mistica, con la convinzione che promuovere la giustizia, la pace il dialogo, il negoziato non significa mai essere neutrali.
In quegli anni, fa il professore con un impegno e creatività e allo stesso tempo s’inserisce nell’associazionismo cattolico, agisce nell’aiuto alla povera gente, apre rapporti con i carcerati e inizia una corrispondenza incredibilmente feconda con una moltitudine di persone di tutti i ceti.
L’archivio della Fondazione La Pira possiede un patrimonio di oltre centomila documenti di grandissimo rilievo storico: basti pensare alle 1.200 lettere a papa Paolo VI, le 700 a Giovanni XXIII, alla corrispondenza con De Gaulle, Arafat, Abba Eban, Nasser, Krusciov, Chou En Lai, con re e con ministri, con politici di vari schieramenti, con industriali, filosofi e personalità della cultura ,… ma anche con bambini e giovani, con carcerati.
Nel 1939, in seguito all’istituzione delle Leggi razziali, fonda la rivista Principi, con la quale riflette sulla libertà, sulla giustizia sul lavoro, sulla pace. Il foglio sarà soppresso dal fascismo un anno e mezzo dopo. Ma La Pira aveva promosso un’azione culturale straordinaria, in quanto in questi scritti vi si ritrovano – in nuce – i Principi della nostra Carta Costituzionale.
La Pira – ricercato – si rifugia come altri in Vaticano e finita la Guerra ritorna a Firenze.
Gli sarà affidata la presidenza dell’Ente Comunale di Assistenza (ECA), una sorta di Assessorato al sociale. E chi meglio di lui avrebbe potuto svolgere quel compito, avendo in pratica conosciuto bene i tanti poveri di Firenze.

Nel 1945 la situazione è drammatica.
Scrive La Pira:
«Una città di 400.000 abitanti, avente la seguente “cartella clinica”: 10.000 disoccupati, […] 3.000 sfratti (sfratti veri), 17.000 libretti di povertà, 37.000 persone assistite dal Comune,15mila minestre calde servite nelle varie mense».

Per comprendere l’azione politica di La Pira, quella locale come quella internazionale, ma anche la sua profonda incidenza sulla Carta Costituzionale (in cui La Pira fu relatore), occorre partire da un suo saggio, pubblicato nel 1950, “L’attesa della povera gente” e dal testo del 1945 “La nostra vocazione sociale”, in cui attraverso una lucidissima critica al liberismo e al collettivismo, mostra la sua visione della persona, della sua dignità, della socialità umana, dello Stato come garante dei diritti.
Certamente l’esperienza di sottosegretario al Lavoro nel primo Governo de Gasperi lo segna particolarmente, facendolo maturare nella sua visione sociale e nell’impegno in politica. Vuole intervenire sulla patologia del sistema economico. Il suo obiettivo è la piena occupazione.
Scrive nei suoi appunti:
«Non avevo mai capito che cosa fosse la disoccupazione… Che scoperte! … tu ci passi accanto e non te ne accorgi… È una patologia del sistema nazionale e internazionale, un fatto che ha una sua logica, una struttura, una terapia…»

Nel 1951 La Pira è sindaco. La realtà sociale della città pesantemente ferita dalla guerra, è drammatica. Ponti da ricostruire, più di cinquecento sfrattati, quasi 10mila disoccupati, l’8% della popolazione con il libretto di miserabilità.
Firenze aveva bisogno di un rapido decollo delle attività produttive e di risposte immediate alla complessa situazione sociale. (cfr. Giovannoni 1951, p. 14)
La Pira teorizza che un buon bilancio deve partire dai bisogni e non dalla rassegnata gestione delle risorse. Il suo impegno e la sua fantasia sono messe alla prova.
In Consiglio Comunale si vanta di essere ragioniere e presenta il Bilancio dando dati molto precisi:
«A che serve un bilancio in pareggio se non è in pareggio la vita? …. È sul bilancio umano che si modella il bilancio contabile. Disoccupati da occupare? Case da costruire? Assistenza da compiere? … direttamente o indirettamente, queste spese devono essere fatte: le entrate devono venire. Come? … ricorrere a tutte le vie. Mutui, interventi dello Stato per cantieri di lavoro, per l’assistenza sanitaria e così via: tutte e strade devono essere battute: … fare del Comune una comunità di fratelli in cui ci sia per tutti, nei limiti del possibile, un lavoro, il pane una casa. E la musica: cioè la festa comune, la gioia comune. … perché cementa in unità i cittadini, spezza le armi di una opposizione sterile. …
Ci sono due tipi di amministrazione, due tipi di bilancio, due tipi di azione: bisogna scegliere».

Molte furono le realizzazioni dell’amministrazioni cittadine guidate da La Pira dal 1951 al 1965. Non possiamo qui elencarle tutte, ma non possiamo non ricordare i grandi episodi di lotta sociale e politica rappresentati dalla difesa dei posti di lavoro per migliaia di persone (il salvataggio della fabbrica Pignone con l’aiuto dell’amico Enrico Mattei presidente di Eni, la Galileo, la fonderia della Cure).

La città partecipò a questa difesa e, insieme al sindaco, e la sua azione ebbe successo. Ma anche la costruzione case per i senza tetto, di quartieri a misura d’uomo, primo tra tutti l’Isolotto. L’istituzione dell’albergo popolare, le farmacie comunali, la Centrale del latte, l’impegno nella cultura (dobbiamo a lui tra l’altro la presenza dell’Istituto Europeo alla Badia Fiesolana).
La Pira continuando a essere oggetto di attacchi di ogni genere, parole aggressive, un tentativo di pestaggio da parte di neofascisti, ricorrenti polemiche contro di lui da parte di alcuni organi d’informazione, alimentò nei cittadini la coscienza che in una società democratica l’amministrazione pubblica non è una semplice azienda che fornisce servizi, ma l’espressione di una responsabilità condivisa per il bene comune.
Di fatto il governo di La Pira, giudicato a distanza, si è rivelato un esempio di buona e accorta amministrazione.
Ho citato prima l’Isolotto. La costruzione del Quartiere dell’Isolotto è un esempio innovativo di edilizia popolare, che segue lo slogan lapiriano: Non case ma città!
Cioè, non dormitori ma centri che consentono a chi ci vive opportunità di buona reazione. Insomma piccole città autonome, con palazzine a misura umana, con la scuola, la chiesa, il teatro, la farmacia, molto verde e giardini. Quartieri comunicanti tra di loro attraverso una viabilità che permetta di raggiungere agilmente il centro storico e le altre zone, in un piano stellare adeguato alle nuove esigenze della città contemporanea.

Sentiamo ancora La Pira:
«La città è una grande casa per una grande famiglia: ecco l’idea basilare – già formulata da Leon Battista Alberti nel 1400 -. … La città è una unità organica che presenta ai suoi membri presenti e futuri …. tutti gli elementi essenziali per il sereno sviluppo della loro vita: la stessa struttura urbanistica è fatta per una finalità profondamente umana: stabilire, cementare, accrescere tra i membri della città, una comunione fraterna di vita».

Sul tema del lavoro legato sentiamo ancora La Pira:
«Quale dev’essere la parte dello Stato nell’economia del Paese? Quali sono i limiti dello statalismo? Quali i doveri dell’iniziativa privata nei confronti dell’economia nazionale e della Società?
Pilotare il sistema economico (il che è strutturalmente diverso ‘dall’assorbire’ il sistema economico): pilotato per realizzare il “pieno impiego” di tutti gli attori della produzione. Solo così lo Stato si adeguerà, nel campo economico, al fine che gli è segnato dal ‘valore della persona umana’. Questo valore è tale da esigere lo sradicamento della disoccupazione! In una società autenticamente umana … non devono esserci disoccupati: ite et vos in vineam meam!».
Conclude rimandando al Vangelo, con la citazione della parabola dei lavoratori delle diverse ore (Matteo, capitolo 20).

In Assemblea Costituente, La Pira era stato tra i principali fautori dell’articolo 1. L’Italia è … fondata sul Lavoro!

Riguardo al salvataggio dell’industria Pignone dirà:
«Un bel giorno, in una città (una città piccola) che ha 9mila disoccupati, la direzione di una industria decide la chiusura. Un’azienda centenaria in ottimo stato di servizio. Licenziamento di tutti (1750 persone – quasi 1750 famiglie monoreddito sul lastrico). Ma perché? Mancava il lavoro? No… otto miliardi di commesse americane… Senza nessuna trattativa. Chiudo perché chiudo: il padrone sono io.
E la Costituzione?».

La Pira ha di fronte gli articoli 35, 41 e 42 della Costituzione, che lui ha contribuito a scrivere… e che segnano il valore dell’iniziativa economica e della proprietà privata che non può però svolgersi in contrasto con l’utilità sociale

Continua: «E i problemi del pane, del lavoro, della vita del paese? E le ripercussioni sociali, politiche, umane, economiche, religiose? Tutte ciance da idealisti, da visionari, la ‘congiuntura economica’ ha le sue leggi: i professori, gli idealisti, i ‘santi’ (questi autentici imbecilli) non ci disturbino …».
Scrive: «Guardi Signor industriale, lei non ha ancora capito che la sua industria non è astratta dal corpo cittadino, di cui fa parte, ma è elemento organico di esso. Lei deve prima ragionare con la città. Lei si ricordi che fa parte di questa comunità e deve essere solidale con le gioie, le sofferenze, le tradizioni della città. Perché non essere attratti da questa visione fraterna, organica, comunitaria, religiosa che dà senso e gioia all’esistenza?» …

Oggi, nel mondo globalizzato, tutto questo dovremmo dirlo alle multinazionali. E perciò occorre un governo mondiale per il bene comune planetario, occorre il rafforzamento e la riforma dell’ONU …-.

Continua La Pira: «Ho un solo alleato: la giustizia fraterna»
1) Lavoro per chi ne manca
2) casa per chi ne è privo
3) assistenza per chi necessita

– Nell’Articolo 32, garantire le cure gratuite agli indigenti, sta il suo impegno per le Farmacie Comunali, che assume non appena divenuto sindaco.
Chissà come sarebbe stato felice La Pira se fosse stato ancora vivo nel 1978 al momento dell’Istituzione del Servizio sanitario Nazionale.

Ancora: … 4) libertà spirituale e politica per tutti
5) vocazione artistica e spirituale di Firenze nel quadro universale della città … umana.
Non mi servo dei comuni metodi di meccanica parlamentare e partitica. A Firenze c’è posto per tutti gli uomini di buona volontà che hanno come obiettivo di azione i punti indicati».

La sua politica assunse subito una dimensione planetaria.

Dal 1951, diventato sindaco di Firenze, fu elemento di punta della politica estera italiana, promotore singolare e instancabile di dialogo e di pace.
Vide la distruzione di Hiroshima (e potenzialmente la distruzione di ogni città), come il culmine di un’epoca, lo spartiacque della storia, che prelude alla fase finale e nuova della storia, che pone l’umanità sul ‘crinale apocalittico’: la minaccia nucleare e la collera dei poveri da un lato, la via della pace dall’altro.
L’attenzione di La Pira alla dimensione internazionale della politica e dei rapporti tra i popoli fu costantemente orientata alla costruzione della pace che, pur avendo come fulcro l’Europa, chiedeva, parimenti, la partecipazione attiva di tutti.

Anche la visione lapiriana del Medio Oriente e di Gerusalemme, (espressa attraverso un’azione lungimirante, numerose lettere e molti viaggi in Egitto, Siria, Algeria, Marocco, Tunisia, Libano, Giordania, Israele), potrebbe ancora oggi rappresentare un preciso sentiero verso la pace.
«[…] Ci vuole un dialogo politico (un ‘Colloquio Mediterraneo’) allargato.
Soluzioni militari? La storia presente del mondo le esclude: la chiave che apre tutte le porte è soltanto quella del negoziato e della coesistenza pacifica: il contesto atomico, spaziale, demografico, cultuale, sociologico del mondo è tale da rendere inutili i programmi militari […]».

E qui aveva davanti l’Articolo 11 della Costituzione: l’Italia ripudia la guerra… come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali…

Dopo Hiroshima, cioè entrati nell’era atomica, per La Pira, l’epoca di Clausewitz è finita!
La guerra non è – come affermava il generale prussiano Von Clausewitz – la continuazione della politica con altri mezzi, ma è il fallimento della politica.
La Pira svolse un’intensa attività internazionale, si adoperò nella costruzione della pace anche cercando di far uscire la produzione delle armi dalla stessa logica degli investimenti e del mercato.

Serve per La Pira disarmare l’economia, disarmando in cuori. Ecco la Métanoia di cui, parlando di lui, diceva Papa Paolo VI!

Mikhail Gorbaciov, con la prefazione al volume che raccoglie gli scritti di La Pira sulla Pace, “Il sentiero di Isaia”, riedizione del 1996, ne coglie la portata profetica nello sforzo per il disarmo congiunto e la promozione di sviluppo comune e la collaborazione tra gli Stati.
Ricordiamo che i presidenti Gorbaciov e Ronald Reagan firmarono l’8 dicembre 1987 il Trattato INF, avviando un percorso che portò allo smantellamento di tutti i missili nucleari con gittata tra i 500 e i 5mila chilometri di Stati Uniti e Unione Sovietica (migliaia di testate nucleari).
Il Trattato segnò la fine della Guerra fredda. E successivamente, fatto saltare con accuse reciproche.
Purtroppo, il Gorbaciov della Perestroika non è stato sufficientemente sostenuto, l’Europa che stava per respirare coi due polmoni, quello dell’Ovest e quello dell’Est, (divisa al suo interno) non ha fatto abbastanza, e il percorso si è arrestato: chi aveva interessi a bloccarlo ha avuto la meglio.
La visione europea, (nella visione di La Pira, un’Europa che comprende anche la Russia, fino agli Urali) … la visione europea che mette insieme le volontà politiche dei diversi Paesi per governare congiuntamente fenomeni che sfuggono al controllo dei singoli Stati, resta una grande intuizione, che La Pira sposò e sostenne.

Con il sindaco La Pira, Firenze (dal 1951 fino alla metà degli anni Sessanta) aveva dimostrato di possedere una incredibile vitalità, inserendosi efficacemente nella dialettica storica contemporanea sui grandi temi del momento, sostenendo la causa della pace, dell’indipendenza dei popoli nuovi, del progresso civile delle persone e dei popoli più deboli.
«Tutte queste città vengono da una matrice unica: questa matrice unica è la città di Gerusalemme. Bisogna vederla […] assieme a tutte le città medievali, cristiane e arabe. Dobbiamo cercare qualche cosa: il mistero che c’è sotto le città autentiche (non sono mica molte le città autentiche in Europa, compresa la Russia). L’impressione che mi ha fatta Kiev, per esempio, nella parte in cui è ancora a strutturazione medievale! Mica perché io aspiri al passato, ma perché il passato è radice per l’avvenire: come il frutto è sempre legato alla radice».

La Pira attento ai segnali della storia, aveva peraltro colto nel Mediterraneo una precisa vocazione alla pace: l’occasione d’incontro tra i popoli delle sue rive, popoli che appartengono a tre grandi civiltà radicata in Abramo – la Famiglia di Abramo come lui chiamava Ebrei, cristiani e musulmani -.
Popoli che, se messi in dialogo, possono aprire un percorso storico nuovo, un “nuovo umanesimo possibile” e avviò a Firenze quei Colloqui Mediterranei, insieme agli altri Convegni internazionali che lui costruiva con grande impegno da eccezionale tessitore di relazioni qual era, e che incisero molto sulla politica internazionale volta alla pace.
Dopo il 1965, con la conclusione del suo impegno di sindaco, La Pira continuò a occuparsi di pace come presidente della Federazione Mondiale delle città unite. Portò avanti la sua idea girando il mondo, favorendo incontri, proponendo trattative.

“Abbattere i muri e costruire ponti, Uniamo le città per unire il mondo”, erano i suoi slogan. Gli stati passano, i confini mutano, ma le città restano: non cumuli di pietre, ma organismi vivi costruiti nel tempo dalle generazioni passate per le generazioni future. Le città non possono morire e gli Stati non hanno il diritto di distruggerle. Fu l’impegno al quale aveva dedicato la sua vita.

Per andare direttamente alla radice della visione di Giorgio La Pira è possibile accedere sul web a due brevissimi filmati di sorprendente attualità, di fronte ad una Europa che sembra avere timore della propria identità e del proprio ruolo di pace nel mondo … e un’Italia che non sa trovare il coraggio che la posizione geopolitica e i suoi valori costituzionali le consentirebbero. Consiglio la visione di queste fonti presenti nell’archivio della Rai.

https://www.teche.rai.it/2017/01/giorgio-la-pira-dibattito-sullatomica-1970/

Contributo offerto in occasione della Giornata di studio e commemorazione dei 70 anni dell’istituzione della Farmacie Comunali Fiorentine. Giugno 2022