Un racconto con il cuore in mano: la mia esperienza di vita, di studio e di rapporto con il Centro La Pira

di Vladimir Aparicio

Vengo dalla Colombia un paese che per molti anni ha sofferto la guerra civile prodotta dai cartelli della droga e posteriormente delle guerriglie che insanguinavano intere popolazioni e hanno fatto della Colombia il paese con il numero di persone sfollate del mondo più alto, più di 8 milioni.
Questa situazione in particolare mi ha fatto riflettere su come potevo agire in questo problema concreto. Prima di venire in Italia facevo l’insegnante di letteratura e di spagnolo per stranieri all’università, potevo vivere tranquillamente e senza grossi mancanze. Mi sono sempre mostrato sensibile alle sofferenze dell’altro ma non avevo le risorse che mi permettessero di creare un cambio reale politico e sociale, così ho accettato la borsa di studio in Scienze Politiche che mi ha offerto l’istituto Sophia a Loppiano.
La borsa però non includeva i costi di vitto e alloggio, dopo un anno i miei risparmi di tutta una vita di lavoro erano finiti. Non sapevo dove andare e come fare per finire gli studi.
Il Centro La Pira, che conoscevo dal 2006 quando ho frequentato un corso di italiano, è stata la mia salvezza. Mi sono messo in contatto con il gruppo del sociale e subito loro mi hanno detto che si stavano riaprendo le residenze per studenti e sarebbero stati contenti di darmi una mano.
Con la tranquillità di avere una casa, ho finito la Laurea Magistrale in Scienze Politiche a Sophia e posteriormente cominciato studi in Governo e Relazioni Internazionali alla LUMSA di Roma.
Al termine di questa esperienza posso dire di essere profondamente cambiato avendo assimilato un bagaglio di esperienze, di confronto, di impegno che mi hanno arricchito e che hanno contribuito alla trasformazione della mia identità.
Ciascun immigrato è naturalmente portato a cambiare la propria cultura e la propria identità per effetto dell’integrazione in un nuovo Paese; per me ciò è stato ancor più significativo in quanto il Centro mi ha offerto un ambiente protetto e nello stesso tempo stimolante. Soprattutto mi ha dato la possibilità di vivere questo cambiamento di integrazione insieme a tanti altri studenti di nazionalità diverse.
Senza intenzione di rinnegare le mie origini colombiane, che restano salde nel mio animo e nel mio cuore, mi sento inserito e partecipe anche della società italiana.
L’esperienza del Centro la Pira è stata ricca di momenti piacevoli che la convivenza con gli altri studenti ha favorito. A partire dalla condivisione delle piccole cose quotidiane come per esempio la condivisione del cibo e della stanza con un ragazzo musulmano. Si è trattato sempre di un confronto e mai di uno scontro anche quando si trattava di temi religiosi o ideologici. Un clima di tolleranza e di accettazione dell’altro che mi ha portato scherzosamente a chiamare il mio compagno di stanza con l’appellativo “fratello musulmano” e ad essere da lui ricambiato con quello di “fratello cristiano”.
Di certo, come tutte le convivenze, non sono mancate le difficoltà specie nei rapporti con le persone che hanno vissuto il Centro come un luogo di momentaneo passaggio e con scarso spirito di appartenenza.
Atteggiamenti che hanno portato alcuni a sottovalutare le regole comuni quali la pulizia, il rispetto del silenzio, il riordino dei locali. Ho assolto all’incarico che mi è stato attribuito di referente tra il centro e la casa studenti cercando in questi casi di richiamare, laddove ve ne fosse la necessità, al rispetto delle regole generando anche qualche fastidio e qualche reazione non sempre positiva.
Anche queste esperienze mi hanno aiutato a comprendere il significato dell’integrazione che richiede da un lato la capacità di distaccarsi dalle nostre abitudini in un continuo movimento oscillatorio tra disintegrazione e integrazione che mi ha intimamente trasformato.
A conclusione di questo mio breve messaggio sento di poter dire che il Centro La Pira, continuando nel tempo l’importante ruolo assegnato dal Suo illustre fondatore, tesse una tela di rapporti e di legami che vanno oltre la contingenza dello spazio e del tempo.
I ponti che si costruiscono nella quotidianità della vita del Centro continueranno anche all’esterno, nella vita delle persone che vi hanno soggiornato e, come un seme, germoglieranno e porteranno il loro frutto in luoghi e in Paesi diversi.
Un frutto che ha un nome unico e inestimabile: PACE che vorrei portare nel mio paese.