Intervista a Marco Masotti

A cura di Iseth Tiburcia Ndoumou Obono Mve, volontaria del Servizio Civile Regionale presso il Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira.

Come ti chiami e da quanto tempo fai volontariato al Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira?

Mi chiamo Marco Masotti e ho iniziato a fare il volontariato al Centro nel 1978, quindi praticamente da quando il Centro è nato. Facevo parte del Movimento GEN, legato a quello dei Focolari e in quel tempo, come giovani, eravamo molto impegnati al Centro.  Gli altri studiavano, ma io lavoravo, per cui davo la mia disponibilità al Centro soprattutto dopo cena, quando c’erano magari spettacoli, cineforum ed io aiutavo nella parte tecnica. Davo il mio contributo anche nei momenti in cui ero libero: il sabato e la domenica per le gite, e avevamo anche una squadra di calcio di cui mi occupavo. Poi, per ragioni di lavoro, ho un po’ rallentato, aiutavo saltuariamente, mi chiamavano quando c’era bisogno e, purtroppo, quasi sempre dopo cena o nel week-end. Adesso che sono andato in pensione ho ripreso il volontariato qui al Centr

Di cosa ti sei occupato di preciso al Centro in passato e cosa fai adesso?

 Come dicevo, mi occupavo molto della parte tecnica, ero alla macchina della proiezione, perché al cineforum a quei tempi non avevamo ovviamente le attrezzature che esistono oggi: avevamo una macchina da presa con la pellicola, e quindi diciamo che facevo il cine-operatore. Mi sono interessato anche della parte dell’amplificazione e di altri aspetti tecnici di questo tipo.

Adesso che sono in pensione ho dato la mia disponibilità per varie mansioni: sono alla reception e nell’équipe della socializzazione per quanto riguarda la preparazione di serate e eventi culturali e sono anche nell’équipe per l’accoglienza dei ragazzi che vengono qui e che abitano nei due appartamenti che si trovano qui al Centro La Pira.

Quindi prima esisteva un cinema. Chi veniva di solito ad assistere agli spettacoli?

Inizialmente il cinema lo usavamo proprio per insegnare l’italiano agli studenti: infatti facevamo vedere anche dei cartoni animati, perché erano di facile interpretazione e più immediati. In seguito abbiamo iniziato a fare un vero e proprio cineforum: c’era squadra si occupava appunto di scegliere i film e di proiettarli, e dopo la visione c’era il dibattito, come in tutti i cineforum.

Poi ci sono stati vari eventi: mi ricordo di un carnevale molto speciale che abbiamo fatto in Sala Teatina, per poi uscire fuori a fare un giro per Firenze fino al mercato della Paglia al Porcellino e al rientro in Sala tantissime persone ci avevano seguito, tanto che abbiamo dovuto concludere perché il pavimento non sopportava il grande peso, sobbalzava e temevamo problemi.

Come funzionano gli appartamenti e come vi rapportate con i ragazzi che ci abitano?

In ogni appartamento c’è un ragazzo che fa da “capo-casa” e che si confronta con me, con Joseph e con un’altra persona, che prima era Mariagrazia. I ragazzi sono praticamente autosufficienti, ognuno si compra il cibo e se lo cucina, abbiamo anche il Banco Alimentare che ci dà una mano. Cerchiamo logicamente di stare dietro ai ragazzi con gli studi: vediamo se sono in pari con gli esami, se hanno bisogno di aiuto, e per questo abbiamo un paio di volontari che s’impegnano a dar loro delle ripetizioni.

Potresti spiegarmi più nel dettaglio la tua storia con il Centro e come ne sei venuto a contatto?

Nel 1978 Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, aveva ricevuto dal Cardinale Benelli una richiesta di aiuto perché all’epoca stavano arrivando a Firenze tantissimi studenti dall’estero e non si sapeva cosa fare, non si avevano informazioni e questi studenti non avevano un posto dove ritrovarsi.  Chiara Lubich quindi chiese a noi giovani del Movimento dei Focolari e a tutti gli appartenenti allo stesso Movimento di mettersi a disposizione dello stesso Arcivescovo per questo Centro. Perciò una sera ci riunimmo in un posto particolare qui a Firenze, che si chiama lo Sprone, un Centro culturale dedito all’arte, alla pittura e alla scultura. Quella sera il Cardinale Benelli ci spiegò cosa voleva da noi: ci ha dato in gestione questo stabile in Via de’ Pescioni e dal quel momento abbiamo iniziato a ridipingere e a rifare gli impianti elettrici perché erano veramente vecchi. Il Centro non era come adesso: era più piccolo, con meno stanze e solo dopo ne furono concesse altre. C’era un appartamento dove abitavano solo quelle persone del Movimento a cui era stato affidato il compito di portare avanti il Centro. Il Centro Giorgio La Pira non è solo del Movimento dei Focolari ma è di tutta chiesa Fiorentina, e rappresenta la missione del Movimento qui a Firenze.

Io ho dato subito la mia adesione insieme ad altri ragazzi. Inizialmente andavamo nelle mense studentesche a far volantinaggio per far conoscere il Centro: io stesso l’ho fatto, fingendo di essermi dimenticato il libretto, dato che non ero studente e quindi non sarei potuto andare lì a pranzo.

Poi abbiamo cominciato a lavorare con il Centro. La Sala Teatina era diversa da come la vediamo oggi, che è bellissima grazie al restauro curato dall’architetto Gurrieri e all’importante arredo, realizzati grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Inizialmente era un salone un po’ spoglio, ma sempre pieno di ragazzi che venivano a passare il tempo, a sentirsi un po’ parte di una famiglia. Si percepiva il Centro come una casa dove accogliere i ragazzi, dove “fare famiglia” : c’era il ping pong, il biliardino, il calcetto, gli scacchi e molto altro, tutto per favorire la socializzazione. Fuori i ragazzi non avevano tanti amici, anzi inizialmente, e purtroppo questo accade ancora oggi, questi ragazzi che venivano da fuori si sentivano molto soli. Avevamo addirittura creato un piccolo ambulatorio medico per curarli, perché allora non era possibile avere la tessera sanitaria come adesso, per cui due suore infermiere (sor Fiorenza e suor Veronica) e un medico venivano un paio di volte alla settimana e orientavano gli studenti, nel caso ci fosse bisogno di assistenza. Fin da subito venne istituito l’ufficio sociale, dove si poteva dare un sostegno economico, si aiutava chi non l’aveva a cercare un alloggio e in seguito ci vennero concessi alcuni appartamenti a Firenze e anche fuori città (ad esempio al Girone) per dar loro una casa e anche alcune parrocchie iniziarono ad accogliere alcuni ragazzi. Oggi abbiamo per fortuna i due appartamenti di cui ho parlato prima proprio nello stesso immobile della Sede.

Cosa significa per te fare il volontario al Centro La Pira e quale è secondo te il valore aggiunto di questo ambiente?

Per me fare volontariato qui al Centro direi che è un onore, perché potersi mettersi a disposizione di persone che hanno bisogno, che cercano amicizia, è una cosa bellissima. Il valore aggiunto è conoscere altre culture su tutti i piani: quello ideologico, quello religioso e anche quello culinario. Io infatti ho fatto il cuoco, e dunque questo è un aspetto che mi appassiona molto; proprio l’altro giorno ho fatto una zuppa africana che ho portato agli amici e che è piaciuta tantissimo.

Penso insomma che l’interculturalità sia basilare per l’umanità. Purtroppo, nella realtà non è ancora così, ma noi cerchiamo di portare avanti questa idea e di svilupparla in tutte le sue forme. Mi fa stare ancora male sentire discorsi come: “Ma questa gente cosa mangia?”. Se qualcuno mangia i pipistrelli, così è, purtroppo accade quel che accade, ma è comunque una cultura.

Hai un qualche ricordo di ragazzi che hai conosciuto?

Effettivamente mi ricordo del rapporto particolare che ho avuto con una coppia di ragazzi cileni che erano al Centro, ed erano venuti in Italia perché non potevano studiare in Cile. Lui studiava architettura, lei in realtà non studiava, ma entrambi avevano iniziato a frequentare il Centro. Poi è nata una bimba, Francisca, che è stata battezzata in Battistero a Firenze, una cosa rarissima, perché al Battistero ormai non si usa battezzare più. Il rapporto con questi due ragazzi, Gunther e Mariateresa, è rimasto ancora vivo, tanto che l’anno scorso Mariateresa è tornata in Italia dal Cile per un viaggio con una sua amica e la prima cosa che ha fatto è venire qui al Centro. Poi è venuta a trovarmi, ma io non l’ho riconosciuta perché erano passati quasi trent’anni, all’epoca eravamo ragazzi, mentre adesso siamo già quasi tutti nonni!

Chi viene qui al Centro non lo dimentica: magari non ci si ricorda dei nomi (io poi sono una frana), ma basta vedere una fotografia e ti tornano alla mente tante cose, tante persone che sono passate da questo Centro, tanti episodi, tante emozioni…

Un’ultima domanda: quali sono i valori comuni che ti legano al Centro?

Più o meno quelli ai quali ho già in qualche modo accennato: l’interculturalità, l’accoglienza, il rispetto reciproco e, infine, la tolleranza, che ritengo sia il valore più impegnativo.

LA VERITÀ DELLE VITTIME DEL CONFLITTO COLOMBIANO: INTERVISTA A JORGE JIMENEZ CASTRO

(A cura di: Rebecca Batistoni, Mariem Kilani, Laura Landi, Matilde Nolesini, Iseth Tiburcia)[i]

La Comisión de la Verdad è un organismo che opera per ricostruire un contesto di pace in Colombia, paese martoriato da un conflitto iniziato negli anni Sessanta che potrebbe giungere a una svolta decisiva. Ne parliamo con Jorge Jiménez Castro, studente del corso di laurea magistrale in Scienze politiche dell’IU Sophia e di Filosofia all’UNIPG, volontario del Nodo Solidale di Firenze e ospite del Centro Internazionale Studenti La Pira di Firenze.

Jorge, la Comisión deve il suo funzionamento all’operato di numerosi volontari sparsi in diverse zone del mondo. Quale attività svolge?

Il Sistema integral de verdad, justicia, reparacion, y no repeticion, frutto degli accordi di pace del 24 novembre 2016 firmati a L’Havana dal governo colombiano e dalle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionaria de Colombia), ha portato alla nascita della Comisión de Verdad, organismo a carattere extragiudiziale che scadrà nel 2021. Ha lo scopo di garantire alle vittime il diritto alla verità. La verità e il rispetto sono necessari se vogliamo sperare in una convivenza pacifica.

Da quando fai parte della Comisión?

Ho conosciuto da poco l’attività della Comisión. Il processo con vari Nodi di riferimento in Europa è iniziato solo ad ottobre scorso, quando si è posto attenzione agli esiliati colombiani all’estero. Già da tempo ero impegnato e appassionato a questi temi, perciò ho pensato che il mio contributo all’interno del lavoro della Comisión potesse essere utile. In Colombia, mentre mi formavo nell’ascolto terapeutico in una scuola di psicologia transpersonale, ho studiato pedagogia della costruzione di pace e ho lavorato con il Ministero dell’Istruzione in questo ambito.

L’opera di volontari come te è rivolto anzitutto alla ricerca della verità per le vittime. Tu parli di esilio invisibile. Cosa intendi  con questa espressione?

E’ utile ricordare la storia della mia famiglia. I miei nonni avevano un’azienda in campagna che hanno dovuto abbandonare, a causa del conflitto armato. Hanno vissuto il dramma dei desplazados, vittime dello sfollamento forzato. E’ un fenomeno che coinvolge famiglie intere. In città, erano guardati con diffidenza. La gente non li riconosceva come vittime di un conflitto ignorato nelle aree urbane, che dilagava nelle zone rurali del paese. Il fenomeno di non riconoscimento delle vittime e del loro vissuto tocca anche l’esilio dei colombiani all’estero, perché viene reso invisibile, considerato migrazione economica. Inoltre i colombiani che hanno scelto la via dell’esilio volontario all’estero, continuano a vivere una condizione di profonda sofferenza causata dal silenzio dei connazionali intorno alle violenze subite, e dell’impunità che questo silenzio comporta.

Qual è la situazione della comunità colombiana in Italia e quali sfide hai di fronte come giovane studente internazionale?

Varie associazioni cercano di favorire il contatto tra i colombiani in Italia. Ma colombiani tendono a mimetizzarsi e a non parlare delle terribili esperienze vissute in patria; non vogliono riviverle. Ciò rende difficile incontrare chi voglia testimoniare come vittima del conflitto. In Italia, pochi si riconoscono tali. Firenze e il Centro La Pira ormai per me sono come casa mia, ma non nascondo che anch’io inizialmente ho incontrato alcune difficoltà a stringere amicizia con italiani e a sopportare alcuni commenti discriminatori che mi sono stati rivolti in quanto straniero e immigrato. Come tanti altri giovani colombiani, mi sento ancora molto coinvolto nelle vicende del mio paese perché il conflitto dura ancora e il dramma attraversa le generazioni.

Nel 2021 si esaurirà l’operato della Comisión. Quale futuro immagini per il tuo Paese e quali sono i tuoi sogni?

La crisi dovuta all’emergenza sanitaria ha colpito duramente la Colombia, già stremata da anni da conflitti interni e alle prese con una povertà molto diffusa. Prima del Covid19 ero più fiducioso, adesso sono più preoccupato riguardo il futuro del mio paese. Quando la Colombia uscirà da mesi di lockdown sarà difficile far ripartire il Paese e colmare le profonde differenze economiche e sociali che ci sono tra i suoi abitanti. Sarà una vera sfida continuare con le attività delle istituzioni del Sistema integral de verdad, justicia, reparacion, y no repeticion. In questi mesi il lavoro svolto è stato pesantemente svalutato dagli oppositori dell’Accordo di pace e non sono cessate le uccisioni di leader sociali nelle comunità che sono state vittime del conflitto. Voglio continuare nel mio impegno per favorire la riconciliazione e la costruzione di un contesto di pace. I miei studi sono orientati a questo.  In quante parti del mondo sono presenti o si sono consumati violenti conflitti etnici o sociali. Occorre molto lavorare sulla resilienza e sul potenziamento delle vittime di conflitti, come risorsa per rendere il mondo sempre più unito e solidale. Sogno che in Colombia ci sia un cambiamento di cultura radicale, che consenta alle vittime di essere riconosciute, perché possano esternare il proprio dolore, magari attraverso l’arte e la cultura. E perché liberate da un peso tremendo, possano esprimersi attraverso un processo di partecipazione democratica del nostro futuro.

 

[i] Giovani in servizio civile regionale presso il Centro Internazionale Studenti G. La Pira di Firenze